Decima uscita della rubrica ” Ti dipingo così… a tu per tu, a parlar del più e del meno, con…”
a cura di Concetto Sciuto
La seriosità del cabarettista: il Gino Astorina che (non) ti aspetti.
Voce affabulatoria, calma serafica, sorriso appena appena accennato, sguardo riflessivo quasi fosse in trance meditativa, meticoloso nell’ascoltare le domande per poi elaborare una risposta sempre a ragion veduta, replicando con un volto serioso che ti fa pensare: ma davvero stiamo dialogando con quel Gino Astorina che tutti pensavamo di conoscere? Siamo certi di avere di fronte quello showman che, con i suoi monologhi, ti trancia in due dalle risate con apnee quasi da camera iperbarica accompagnate da fiumi di lacrime?
Non è la prima volta che rimaniamo piacevolmente sorpresi quando, valorizzando sempre più questa rubrica intervistando personaggi dello spettacolo, dello sport o impegnate nel sociale, iniziamo a “svelare” il loro dietro le quinte scoprendo che spesso non sono mai come pensavi che fossero e Giove ci fulmini se non è vero che anche Astorina, Gino per tutti, nel privato non è la perfetta copia speculare dell’attore/cabarettista che tanto apprezziamo sul palco.
Ma prima di iniziare questa nostra conversazione gli chiediamo, innanzitutto, come facciamo sempre con tutti, la sincerità nelle risposte, ottenendo una replica che ci tranquillizza: “devo esserlo per forza non fosse altro che sono smemorato”. Confortati da questa affermazione, iniziamo con la prima curiosità che rientra nei canoni della più tradizionale delle domande: dove ha cominciato e cosa lo ha spinto, e convinto, a fare questo (bel) mestiere.
Classica domanda per una, altrettanto, classica risposta: il teatro parrocchiale, inevitabile, e a volte forse l’unica, fucina nel passato che ha forgiato decine di attori del presente. Ma per Gino c’è stato anche l’elemento casualità che ha inciso, non poco, in questa sua scelta. Infatti, ci racconta che faceva parte della squadra di calcio parrocchiale e che un incidente lo ha costretto a rimanere fuori per un lungo periodo. Ma ci tiene a precisare, con la battuta del comico pronta a sgorgare come un fiume carsico, che la squadra “arrifriscau” e lui ha preferito dedicarsi al teatro, giusto per riempiere le vuote ore di una giornata tipiche di un ragazzino degli anni Sessanta. Altra casualità, in questa edificante sequenza di fatalità che sembravano già tracciate da chi tiene in mano le fila del nostro destino, la prima regia agli Angeli Custodi fu di un ragazzo più grande di lui un tal… Gilberto Idonea. E se non era ancora diventato quell’attore che tutti noi apprezzeremo come “ultimo guitto e mestierante” per quei ragazzini, ancora alle prese con i rudimenti del teatro, fu un riferimento importante.
Ma, giusto per non demandare tutto al destino la bella carriera di Gino, non possiamo non raccontare della sua coraggiosa scelta di non racchiudere la sua formazione teatrale solamente nell’importante, ma sempre troppo circoscritto, teatro di Martoglio.
“Ho cominciato a divertirmi già a quattordici anni e poi non ho mai smesso, abbiamo perfino costituito una compagnia “Non ti pago” però mi è sempre piaciuto fare qualcosa di diverso”.
E ci confida che un grazie lo deve anche alla compagnia del Minimo Tovini che gli ha permesso di conoscere Pirandello e George Bernard Shaw fino ad interpretare perfino Agatha Christie. Si arresta per un attimo il nostro interlocutore, e in questo suo tirar fuori, dall’ impolverato album dei ricordi, i suoi esordi, ci tiene a precisare che il percorso di un artista, in ogni caso, deve essere sempre graduale, “e a volte mi sono chiesto se facessi troppo cose diverse, ma proprio questa diversità mi ha portato ad affinare altre cose”. Difatti, come potremmo dimenticare la sua molteplice presenza, a volte da sembrare quasi ubiqua, in radio, in televisione, al cinema, in teatro, oltre a divertirsi tanto con la scrittura perché, non scopriamo l’acqua calda, a Gino piace molto comunicare in tutte le sue forme e non riesce ad abbandonare un solo media. Fino adesso l’intervista scorre diritta come un treno ad alta velocità, così proviamo a deviarne un po’ la corsa con una domanda che pesca in un’antipatica, quanto incontestabile, realtà. Ricordandoci, e riprendendo, una sua affermazione fatta in radio, tagliente come la più affilata lama di Toledo ma limpida come una giornata di sole, gli chiediamo se è ancora convinto che: “nel mondo dello spettacolo ti possono perdonare tutto, ma proprio tutto, tranne… il successo!”
Un convinto doppio sì è la prima risposta che riceviamo, sapientemente circostanziata da personali riflessioni non buttate lì a caso nel limaccioso terreno della sterile polemica.
“Facciamo un mestiere stupendo, dove però ci sarà sempre qualcuno che dirà: perché lui sì e io no? Bisogna capire che la vita è anche costellata da una serie di coincidenze da cogliere al volo, perché ci sono persone più brave di me ma non hanno avuto queste concomitanze che ho avuto io. E a mia volta, quando ci si ritrova davanti qualcuno che ha ottenuto più di me, stavolta io non dovrò dire perché lui sì e io no? perché dietro di me ci sarà qualcuno che potrà dire la stessa cosa. Però, questo mi ha fatto capire che su determinate questioni bisogna passarci oltre, un atteggiamento che deve tornare utile anche te stesso. Alla fine, c’è sempre un grande pareggio, dove credo che ognuno è al posto suo anche perché non tutti possiamo fare lo stesso mestiere”.
Una risposta a tutto tondo, equilibrata, misurata nel tono e nei contenuti, di rara sincerità e che se fosse applicata in questo mondo, dove l’ansia di apparire soverchia spesso l’essere, dove il rancore e l’invidia, di conseguenza, la fanno da padrone, appianerebbe taglienti asperità, limerebbe incomprensioni e vacue gelosie, farebbe stringere più di una mano in segno di collaborazione e amicizia. A questo punto intuiamo che occorre porre un’altra domanda di non semplice risposta, possibilmente ancora più intricante, per provare a scompaginare questo equilibrio perfetto che la calma serafica, e l’infinta esperienza di Gino, ha sapientemente creato. Ci perdonerà il nostro interlocutore, ma il senso di una intervista deve essere anche questo. Così chiediamo: se fossi nato a Milano pensi che avresti fatto questo mestiere? saresti stato lo stesso comico capace di saperci rimandarci, come un fedele specchio, quella liscia catanese apprezzata da tutti noi? Non ha dubbi Gino, avrebbe fatto il medesimo lavoro che è scritto nel suo DNA ma…onore e merito va a questo laboratorio aperto che è la nostra città, perché i suoi personaggi sarebbero stati sicuramente meno “ricchi”. A noi catanesi non occorre certo che ci specifichi in cosa consiste questa ricchezza. E a conferma di ciò ci racconta di decine di esperienze fatte al nord tra gruppi musicali e d’intrattenimento in circoli esclusivi, ma senza la “sua Catania” non sarebbe mai stato la stessa cosa. Difatti, testuali parole: “se uno nasce “mulinciana” rimane tale ovunque nasca, sarà poi il sole e il calore del sud a renderla più saporita”.
Fallito questo secondo tentativo di agitare le quiete acque su cui navigava questa nostra chiacchierata, tentiamo con la domanda (provocatoria) di riserva chiedendogli se gli da fastidio quando, incontrando i suoi fans per strada, provoca in loro un senso di ilarità considerando i personaggi che interpreta.
No, è la risposta, per il semplice motivo che gli fa sempre piacere donare un sorriso, un attimo di gioia, anche fuori il contesto del teatro, e a volte è capitato che la sua presenza divenisse fonte di divertimento, nel senso più generoso del termine, anche in contesti e situazioni personali dove c’era poco da scherzare, senza che lui facesse pesare più di tanto l’equivoco. Rispettare il proprio pubblico significa anche questo. Certo, però: “non sopporto le persone che cercano per forza la battuta soprattutto quando sono fuori con amici, poi diventa stancante”. O poco gradisce quelli che lo mettono in difficoltà con il famoso: ma come? non ti ricordi di me? Pronti ad offendersi se non li riconosci. Per il resto non teme il successo, “se così vogliamo chiamarlo a questi livelli” ci tiene a puntualizzare, perché: “il successo è come il vino, se è buono lo reggi, se è cattivo s’inacidisce. La vita non cambia se ti senti importante.” Incassato un affettuoso chapeau da parte nostra, proseguiamo in questo bel percorso dialogico. Così, ritornando al classico che non stanca mai, chiediamo in quale, tra gli innumerevoli personaggi interpretatati, s’identifica di più. “Non amo le etichette, quindi nessuno”. Risposta ovvia? Tutto qua? Se pensate questo non avete ancora chiaro la forte personalità del nostro intervistato. Difatti, per essere certi di quanto non ami rimanere prigioniero o fagocitato da questo o da quel personaggio, ci racconta che in passato ha rinunciato a contratti importanti per il semplice fatto che il suo pubblico, incontrandolo per strada, nemmeno ricordasse più il suo nome identificandolo, ad esempio, come “il barbiere” del fortunatissimo programma “E’ gradita la mancia”. Chi lo farebbe oggi? È la nostra istintiva riflessione.
Ci riprendiamo subito da questa lecito dubbio chiedendo, oramai certi di ottenere una risposta che coglie tra misurato pragmatismo e infinita esperienza, come reagisce quando percepisce che il pubblico “non lo segue” durante uno spettacolo o non apprezza la sua performance. “Capita a volte che il pubblico non risponda come tu ti aspetti, e in quel caso sono due le strade da battere: una è avvicinarmi dal punto di vista fisico/empatico guardandolo negli occhi, toccandolo, l’altra è arrivare in maniera perfetta e non farti condizionare, perché sei sicuro della bontà di ciò che fai, perché l’insicurezza viene se sei incerto su ciò che hai messo in scena”. Oppure, continua, “se dovesse succedere alla prima si può sempre rivedere il copione”. Potremmo anche finire qua questa nostra intensa intervista, ma percepiamo che c’è il desiderio, da entrambi le parti, di continuare e così si va avanti con altre due domande, dove proviamo a scavare nell’uomo Gino Astorina con non poche, piacevoli, sorprese. Così, spostando l’asse della lecita curiosità su un piano più personale, gli chiediamo quale, tra le sue poliedriche attività, lo appaga maggiormente. E anche stavolta, l’attore/showman/cabarettista/conduttore radio/tv catanese, si rivela una matrioska dall’infinite sorprese perché, tra tutte le mille anime artistiche che (con)vivono in lui, e che esercita con parimenti professionalità/bravura, restiamo, a dir poco, perplessi, inebetiti, positivamente stupiti, nel sentire che più di tutto lo appaga… scrivere! Scrivere? Sarebbe la nostra spontanea, conseguenziale, replica a cui saremmo tentati di aggiungere un: ma sei sicuro? E sarebbe l’errore più grave che, per fortuna, non abbiamo commesso perché, non essendoci mai spostasti, per un solo attimo, dal piano della sincerità, percepiamo che quella risposta è di una verità sacrosanta. Gino, nel silenzio della sua stanza, dove nessun applauso è previsto, ci racconta che vedere aprirsi quella porta chiamata creatività lo realizza più di mille acclamazioni. “Mi piace perché la scrittura non è una cosa precostituita e nel rileggere ciò che ho scritto ho la soddisfazione di non aver detto una cosa scontata, banale. È bello creare qualcosa che non esisteva, che prima non c’era”.
Metabolizzata l’inattesa risposta, tiriamo fuori dal cilindro delle domande non previste il solito asso nella manica, quell’ultimo quesito che provoca sempre una brezza d’incertezza nell’intervistato: cosa farai da grande? Silenzio, e per un tempo esageratemene lungo.
Lui, l’artista dalla battuta pronta, dall’invidiabile solerzia nel saper sempre replicare, tipica di chi fa questo mestiere, sta lì a riflettere, spiegandoci che questa sua empisse è causata dal fatto che non gli avevano mai fatto questa domanda e non essendosi mai posto il problema ci stava pensando proprio in quel momento.
Siete curiosi di sapere cosa ci ha risposto? Lo siamo stati anche noi, fermi lì, in attesa, con i secondi che sembrano diventare minuti, ore, con Gino che ondulava la testa come per aiutarsi a cercare, nel suo futuro, la risposta più vera. “Non vorrei essere patetico, mi piacerebbe tantissimo che continuassi a fare delle cose per le quali la gente non mi veda patetico. Se non dovessi più piacere, se non dovessi più far ridere, non salirò mai più sul palcoscenico. Da grande io alla morte ci voglio arrivare vivo, con le mie gambe e con la mia testa”.
Una risposta di una semplicità dirompente, e non possiamo fare altro che dargli solo un piccolo suggerimento come quello di fare in modo che mantenga questa promessa, perché desideriamo tutti che questo Gino Astorina, che dopo più di un’ora di intervista ci ha lasciato dentro un’impronta di rara umanità e umiltà (“a me piace ascoltare le altre persone perché apprendo considerando che io no ho nulla da insegnare”) sostenuta da invidiabile intelligenza e perspicacia, in un futuro lontanissimo, sia ricordato così come l’abbiamo conosciuto e apprezzato prima come uomo e dopo come artista. Noiosa piaggeria? No e per un semplice motivo: lui nelle risposte non ha mai derogato dal piano della sincerità e, di certo, non saremmo stati noi a farlo per primi.
Catania, 13 febbraio 2020
Concetto Sciuto per Sport Enjoy Project Magazine
( fonte foto Gino Astorina )
Questo articolo è stato pubblicato sulla pagina on-line su www.sportenjoyproject.com