Il titolo dello spettacolo potrebbe fare arricciare il naso a qualcuno: spettacolo di nicchia per raffinati gusti musicali ?  sarebbe l’errore più grave fidarsi di uno svuotato stereotipo perché, nella cultura musicale d’oltralpe, in queste melodie, c’è tanto dei nostri ricordi che riaffiorano prepotentemente come un fiume carsico grazie anche a un appassionante excursus storico, sociale e sonoro della Francia del ‘900. Inoltre, affidandosi a uno scrupoloso ordine temporale, non scopriamo nulla di nuovo quando affermiamo che l’arte è figlia del suo tempo, incontrollabile espressione di quelle sovrastrutture popolari che rimandano, in questo caso attraverso la combinazione delle sette note e a memorabili testi, ciò che la società vive: amori, drammi, gioie e dolori. Ed è così anche per Mari Pistorio, cantante con un’esperienza preceduta solo dalla sua bravura, misto tra tecnica e passione dove una fa a gara per superare l’altra. Storia sociale dolcemente imbrigliata nella “France et ses idoles”? Oui, oui…cominciando dal lontano 1939 con Maurice Chevalier e le sue canzoni dedicata alla immarcescibile bellezza di Parigi se pur in tempo di guerra con tutte le sue restrizioni, gli allarmi, i coprifuochi, i sacchetti di sabbia per coprire i monumenti e proteggerli. E cosa “Que reste -t- il de nos amour” ci chiede nel 1942 Charles Trenet dove ai rumori della guerra inframmezza un tema inossidabile come l’amore con la nostalgia di quelli passati incastonati nei ricordi, nelle fotografie e nelle lettere, ricordi che diventano trama e ordito della delicatezza del brano. Giganteggia, in questo attraversare il fiume della storia del Secolo Breve, Édih Piaf con “L’accordéoniste e la sua monumentale “Le vie en rose” del 1945, brano che è un invito alla vita dopo le devastazioni della follia umana chiamata guerra. Tutta la bravura di un’artista la si percepisce ad ogni nota, ad ogni rif, ed emerge con forza e rabbia a riscatto di una vita devastata da un’infanzia da cancellare e che non fece sconti nemmeno nell’età adulta.  Se c’è ancora qualcuno che pensi che quella di Mari Pistorio sia una musica di nicchia, dovrà ammettere che, con “Il faut savoir”di Charles Aznavou e il suo tentativo di reprimere il tracimare delle emozioni dettate dall’amore, siamo già se non proprio a una musica “popolare” certamente radicata nell’immaginario collettivo non fosse altro per le sonorità note ai più. Come “For me formidable” del 1964, una miscellanea tra lingua inglese e francese dove quest’ultima sarà la preferita nel corteggiamento della sua amata. “Chanson d’automne” e “Paris canaille” di Léo Ferré del 1953 e 1964 e “Je ne sais dire” di Barbara del 1964 insieme a un altro nome che non ha certo bisogno di uno sforzo di memoria per ricordarne la bravura come Sylvie Vartan a conclusione di una  serata che di certo non ha fatto arricciare il naso a nessuno, anzi. E se più di un brava va a Mari Pistorio per averci condotto per mano in questo ricercato Amacord, più di un plauso va anche ai due maestri Gino Castro al piano e Maurizio Burzilla alla fisarmornica che hanno accompagnato con deliziosa maestria questo viaggio nel cuore, ma prima ancora nell’anima, di una cultura musicale che è stata ed è tuttora invisibile compagna dei nostri amori ma anche impalpabile nutrimento delle nostre passioni. Peccato per chi non c’era.

Concetto Sciuto