Quarta uscita della rubrica ” Ti dipingo così… a tu per tu, a parlar del più e del meno, con…”
a cura di Concetto Sciuto
Radiotelescopio di Noto: in diretta dal futuro.
Se scrivessimo come titolo “Noto e il suo barocco” non diremmo nulla di nuovo alle migliaia e migliaia di persone che conoscono, e hanno ammirato, le meraviglie architettoniche del comune siciliano, ma scrivendo “Noto e il suo radiotelescopio” siamo certi che susciteremmo almeno un minimo di curiosità per chi non conosce quest’altra importante realtà che “giganteggia” in questa nicchia culturale in provincia di Siracusa. Si tratta della stazione osservativa dell’Istituto di Radioastronomia la cui sede centrale si trova a Bologna e collabora con altri radiotelescopi per osservazioni astronomiche e geodinamiche. Ma andiamo per ordine. Metti caso che un giovedì di agosto ti ritrovi in una strada secondaria della Val di Noto, e all’improvviso una parabola di imponenti dimensioni appare nel tuo campo visivo. Poi, se a questo aggiungi anche un passato di astrofilo e l’infinita disponibilità del ricercatore Pietro Cassaro, uno dei responsabili al suo funzionamento e con una capacità espositiva/descrittiva non comune, il gioco è fatto. È stato poco meno di un’ora di spiegazioni dettagliate, tecniche, spesso per nulla semplici, di quelle in cui devi dare fondo a tutte le tue rudimentali conoscenze in materia per riuscire a carpire il senso delle informazioni su uno strumento capace di scrutare l’infinito e…anche oltre. Così, il dottore Cassaro ci spiega con estrema pazienza, inversamente proporzionale alla sua velocità di parola, incontestabile conseguenza di una conoscenza ferrata della materia, che una caratteristica fondamentale di uno strumento ottico è il suo “potere risolutivo”, ossia la capacità di distinguere i dettagli a grande distanza. Questa caratteristica, che dipende dalle dimensioni dello strumento e dalla lunghezza d’onda della radiazione osservata, è molto peggiore in un radiotelescopio rispetto anche soltanto all’occhio umano, a causa della lunghezza d’onda della radiazione osservata da un radiotelescopio (la stessa radiazione che porta le informazioni ai vostri cellulari), che è molto maggiore della radiazione ottica, cioè quella che potete percepire con i vostri occhi. È un limite importante, superabile combinando insieme i dati raccolti da più radiotelescopi attraverso la tecnica “Very Long Baseline Interferometry” (VLBI). La tecnica è basata sulla combinazione dei dati provenienti da molti radiotelescopi, posti anche a grandi distanze, raccolti su tempi lunghi abbastanza da far cambiare (causa la rotazione terrestre) la loro posizione rispetto alla sorgente.
Alla fine, si sintetizzano tutti i dati in un unico risultato ed è come avere lavorato con un solo, gigantesco, radiotelescopio che però… non abbiamo mai costruito!
Indispensabile accorgimento, quando bisogna fare interferire i radiotelescopi, ci precisa Cassaro, sarà quello di combinare i dati raccolti nello stesso istante da tutti i radiotelescopi coinvolti. La tecnica sta nel mettere una marca temporale sul segnale ricevuto, estremamente precisa e stabile nel tempo: un segnale generato da un oscillatore a maser che tenga conto anche del naturale ritardo tra radiotelescopi posti in siti differenti, facendo quindi combaciare tra loro le marche temporali nella fase di combinazione dei dati. I dati vengono quindi elaborati da software appositi e l’immagine ottenuta trattata con una tecnica che in un certo modo mette insieme dati certi e ipotesi sulle sorgenti osservate, come fosse un lavoro di cesello (auto calibrazione). Ma così non c’è il rischio di inficiare con qualche errore il risultato della ricerca? Verrebbe voglia di chiedere. Ma non si fa in tempo perché la risposta eccola lì, pronta solo per essere ascoltata.
Essendo nota la struttura della sorgente, il rischio di ottenere qualcosa di distante dalla realtà è bassissimo, ma grazie a questo escamotage si possono ottenere immagini come quella recente del buco nero. Una foto che è già storia, l’immaginifico “orizzonte degli eventi” ammirata da miliardi persone e ottenuta proprio dal lavoro sincrono di sei radiotelescopi che operavano a frequenze molto alte.
Una spiegazione iniziale che ci fa capire che non sarà un semplice giro turistico nella sala di controllo del Radiotelescopio con delle superficiali descrizioni atte a soddisfare semplici curiosità.
Così la conversazione s’incanala sulla tipologia di antenna che nel nostro caso è ad ottica attiva, un sistema che consente, grazie a dei cilindretti, di cambiarne la forma in base al grado di elevazione della parabola per compensarne le deformazioni dovute al suo stesso peso.
Qualora decidessimo di utilizzare l’antenna in modalità “single-dish”, ossia osservando solo con l’antenna di Noto, lo faremmo per misurare la luminosità variabile nel tempo per quella tipologia di corpi celesti che emettono nel radio come, ad esempio, le stelle giovani o alcuni oggetti extragalattici, che per vari motivi emettono tante onde radio, mentre per oggetti come, ad esempio, le “pulsar”, in Italia viene utilizzato il radiotelescopio di Cagliari che, rispetto a quello di Noto, è dotato della strumentazione adatta.
Ci siamo? State ancora leggendo? Bene, allora ve la siete proprio cercata, perché adesso ci sarà qualcosa ancora di più forte, considerando che il nostro prezioso relatore si sposta su un argomento che “spazia” (manco a dirlo) tra scienza, deep sky e… immaginazione raccontandoci che…
Un altro esempio di studio sono i nuclei galattici attivi, fenomeni alla base dei quali vi è un buco nero supermassivo, che appare essere presente in tutte le galassie fino adesso osservate, anche se non tutti sono attivi. Si tratta di oggetti in cui il buco nero continua a ingoiare tutto il materiale che c’è intorno e che, di per sé, non emette nulla. Di contro, il materiale che cade dentro il buco nero lo fa, formando una sorta di spirale appiattita come un disco e questo “disco di accrescimento”, grazie alla sua rotazione, accelera le particelle, che si muovono alla velocità della luce. Queste, muovendosi nel campo magnetico della galassia, emettono un sacco di energia dal radio al gamma, e la parte radio di questa emissione viene registrata dai radiotelescopi. Andare a studiare questi oggetti su tutte le frequenze possibili del campo elettromagnetico (in pratica è come se leggessimo un libro scritto in lingue diverse) è importante per capirne il funzionamento, e i radiotelescopi si occupano solo di una parte di questo studio. Prendete fiato, ma solo per un attimo, e tenetevi forte perché adesso si procederà, senza soluzione di continuità, ben oltre la velocità della luce.
Oltre il flusso radio, è interessante conoscere anche le diverse strutture visibili nelle immagini radio, con oggetti che emettono dei getti luminosi (con fortissime variazioni di luminosità) in direzione Terra, con effetti relativistici particolari come ad esempio la loro velocità che sembra essere superiore a quelle della luce!
Questo perché l’emissione subisce una falsa contrazione in tempo, poichè rilevata nella sua corsa in direzione del nostro pianeta, dando l’impressione di viaggiare fino a una velocità ben quaranta volte quella della luce. Badate, solo l’impressione!
E qui le nostra perplessità di semplici uditori aumentano in maniera esponenziale, perché se era già difficile immaginare la velocità della luce (299.792,458 km/s) moltiplicarla, idealmente, per quaranta volte diventa un non facile gioco di fervida immaginazione.
E qui, a ridosso del concetto d’infinito, la nostra piccola mente si arresta, perché se è già complicato elaborare concetti come tempo e spazio in questo granello di sabbia chiamata Terra, figuriamoci ammirando i bordi dell’orizzonte degli eventi che corona un buco nero.
Così torniamo con i piedi in terra, anzi per la precisione su una “zolla” di terra, per conoscere un altro uso del radiotelescopio come quello per la verifica dello spostamento…sì, esatto, proprio delle zolle tettoniche.
In questo caso, grazie a un escamotage, possiamo ottenere delle scoperte molto interessanti. Difatti, puntando, ad esempio, due antenne su un oggetto distante anni luce (per avere un riferimento stabile nello spazio), misureremo, in una prima fase, il ritardo tra un’antenna e l’altra. Ripetendo l’operazione dopo sei mesi, si noterà una variazione del ritardo rispetto alla prima misurazione, causa lo spostamento delle due zolle dove risiedono i due radiotelescopi: uno spostamento che ci indicherà anche la direzione, velocità e distanza ottenute in un arco temporale ben preciso.
Un lavoro ottenuto, anche in questo caso, da una collaborazione che mette a disposizione un sistema di radiotelescopi normalmente legato alla rete IVS che si occupa di geodinamica. Grazie a questo tipo di ricerca, si è scoperto che la Sicilia si sta avvicinando alla Calabria di mezzo centimetro all’anno, oltre a ruotare su sé stessa, ed è stato possibile stabilire anche la velocità di rallentamento della rotazione terreste per un giorno che sta pian piano allungandosi di pochi microsecondi all’anno. Avremo così più ore con luce diurna? Sì, ma tra qualche centinaio di milioni di anni! È la battuta finale del dottore Cassaro che tra i tanti meriti, oltre come ricercatore, rientrano di diritto e di fatto anche quello di appassionato divulgatore su un argomento che per quasi un’ora ci ha proiettato in una dimensione extraterrestre, facendoci superare i ristretti, umani, confini di tempo e spazio in un viaggio virtuale che ci ha fatto apprezzare ancor più l’enigmatico mondo della ricerca scientifica.
Catania, 6 novembre 2019
Concetto Sciuto per Sport Enjoy Project Magazine
( fonte foto e notizie Concetto Sciuto e Pietro Cassaro per Sport Enjoy Project Magazine )