Commissario Ricciardi: un teatro a cielo aperto.
Piace e peccato che sia finito, almeno un’altra puntata sarebbe stata gradita da molti. Parliamo della serie televisiva “Il Commissario Ricciardi” che ha tenuto compagnia, per sei lunedì sera, a un italiano su quattro per un successo che ha sorpreso gli stessi autori. Una serie curata bene in ogni dettaglio, dalla scenografia fino a una gradevole fotografia con un cast dove difficilmente si potevano cogliere differenze di bravura nella recitazione, uno valeva davvero l’altro, naturalmente in proporzione all’importanza del ruolo interpretato. Di certo, uno dei suoi punti di forza è stata la professionalità degli attori che hanno caratterizzato dei personaggi rasentandone la perfezione, anche se a volte tendente a una esagerata rigidità di ruolo (una delle poche pecche). Sentirli recitare sembrava di essere in teatro, ma con una cornice unica come le strade di una Napoli degli anni Trenta in piena era fascista, altro non trascurabile particolare che ha dato “colore” e “brio” alla serie. Ma non basta, perché ogni episodio è stato arricchito da ricercati accorgimenti come, ad esempio, l’inaspettato tocco metafisico con la vittima che provava a darti un indizio, o l’imperscrutabile tenebrosità del commissario compensata in parte dalle “irriverenti” battute del dottor Modo, senza dimenticare l’equilibrata simpatia del brigadiere tutto casa, famiglia e lavoro, o la governante che prova a fare le veci della mamma e, dulcis in fundo, la magistrale “Bambinella”, insuperabile nella gestualità e nei tempi di recitazione.
Sarebbe più giusto citarli tutti, per non essere quasi irrispettosi nei confronti di chi, magari, ha recitato solamente nel contesto della singola puntata. Così, nei loro confronti, anche se in maniera sintetica, possiamo affermare che per ciò che riguarda la scelta degli attori non hanno sbagliato praticamente nulla. Scelta che è diventata l’architrave di un gradito apprezzamento che “costringerà” (piacevolmente per noi) i dirigenti Rai alla produzione di una seconda serie.
Per par condicio nella critica, riteniamo corretto evidenziare qualche limite che in effetti si è intravisto.
Ad esempio, alcuni, evitabili, reiterati schemi che ti facevano già immaginare cosa stesse per succedere, e in un giallo, tendente al noir, sarebbe consigliato evitare. O l’amore un po’ troppo mellifluo “vissuto” dietro una finestra e tra due mondi (quello della ragazza con quello del commissario) parecchio distanti tra loro e, come già accennato, anche qualche caratterizzazione del personaggio esageratamente marcata (Garzo?).
Evitabili trappole mediatiche che hanno inquinato poco, o nulla, l’intera produzione, per la felicità anche del suo autore, lo scrittore Maurizio De Giovanni che ha visto dare corpo, e maggior notorietà, al suo personaggio. Pertanto, adesso attendiamo la seconda serie, non fosse altro che alcuni nodi sono rimasti irrisolti e la curiosità, in questi casi, gioca un non trascurabile ruolo ed è giusto, nei confronti di un così vasto pubblico, che la stessa sia soddisfatta.
Catania, 3 marzo 2021
Concetto Sciuto per Sport Enjoy Project Magazine
( Fonte foto Google immagini Panorama.it )
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