Quel muro tra il cuore e il cielo di Berlino.

di Concetto Sciuto

Una distruzione, di per sé, non è mai una bella cosa, la caduta di un muro divisorio sì. Sono trascorsi tre decenni da un evento che ha mutato la storia d’Europa e solo in parte (purtroppo) del mondo. Era il nove novembre del 1989 quando insieme a quei calcinacci, inghiottiti dalla polvere e dalle urla di liberazione, crollò non solo un muro, ma un intero sistema ideologico, un modo di pensare, di vivere o meglio…di non vivere.

Poi, fu tutto un susseguirsi d’immagini, rimaste incise nella zona più emozionale della nostra memoria, picconi che buttano giù quella grigia parete che ha diviso per ben vent’otto anni non due popolazioni diverse tra loro, ma un unico cuore pulsante che fu spaccato, in pochi giorni, perfettamente in due.  Una linea divisoria venuta su velocemente tra calce e mattoni che, come un colpo d’ascia, da quel 13 agosto del 1961 aveva separato il figlio dalla madre, la moglie dal marito, il fratello dal fratello, l’amico dall’amico, facendo precipitare in un clima di tensione, repressione e torture, quella metà popolazione berlinese che, solo per pura fatalità, si ritrovò dalla parte sbagliata del muro, anzi: della storia. Subito dopo ci furono i tentativi di fuga, tantissimi, così come il numero di morti. Furono oltre centomila i berlinesi che provarono, con i metodi più disparati, a superare quella barriera divisoria tra il regime e la libertà, mentre duecentocinquanta non videro mai l’altra parte del cielo più azzurro di Berlino. Un muro che divenne, inoltre, simbolo di due mondi divisi da una guerra (fredda) che fece precipitare l’umanità in un buco nero di tensione e paura dove, con la “Crisi di ottobre” (i missili a Cuba), fu raggiunto l’apice di una parabola del terrore per il pericolo di una guerra atomica, terrore ridimensionato, in buona parte, giusto trent’anni fa grazie a quel crollo.

Oggi, dunque, si festeggia, com’è giusto che sia, per un evento storico che però incorpora, e dovrebbe veicolare, molto più di quello che hanno rappresentano quelle immagini di gioia e fuga. Perché, caduto un muro, il pericolo di… “Another brick in the wall” (come cantarono i Pink Floyd l’anno dopo la caduta sotto la porta di Brandeburgo) sta dietro l’angolo di una via fatta di disprezzo e paura dell’alterità, del diverso, di chi non la pensa come noi, del non rispetto di quei principi inalienabili che sono i diritti umani.  Pertanto, finché anche un solo mattone d’odio sarà eretto tra due cuori, saremo ancora attestati a quel 13 agosto del 1961 e bisognerà ricominciare a picchiare forte stavolta su una parete non più fatta di calce e mattoni, ma costruita con quintali d’ignoranza ed egoismo che formano un muro così spesso che, ancor oggi, non vuol proprio sentirne di venire giù.

Catania, 9 novembre 2019

Concetto Sciuto per Sport Enjoy Project Magazine

( fonte foto Google immagini Agenzia Dire )

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