Sicilia, è allarme ecoreati

Secondo Legambiente, Catania e Palermo al quarto e all’ottavo posto tra le città più colpite in Italia

di Serena d’Arienzo

Se la questione delle contaminazioni ambientali riguarda senza dubbio tutta la Penisola, non si può negare tuttavia che si tratti soprattutto di un problema meridionale, in special modo di quelle realtà territoriali a radicata tradizione mafiosa.  Secondo il “Rapporto Ecomafia 2016” di Legambiente, realizzato in collaborazione con le forze dell’ordine, le prime quattro regioni della classifica sui reati ambientali, tutte del Sud, basterebbero a raggiungere il 48,3% del totale nazionale, con ben 13.388 azioni illegali accertate.

Si tratta rispettivamente di Campania, Sicilia, Calabria e Puglia. L’Isola ha conosciuto infatti, nel corso del 2015, 4.001 infrazioni, ovvero il 14,6% del fenomeno su scala nazionale, dietro soltanto, ma di poco, alla Campania che tocca il 15,6% del totale con 4.277 violazioni documentate.

Dai dati emersi dal Rapporto risulta che solo in Sicilia sono stati tre gli arresti e ben 697 i sequestri, con Catania al quarto posto tra le città coinvolte con 1.027 casi accertati, dopo Napoli, Salerno e Roma, superando di gran lunga il capoluogo Palermo, ottava provincia con 731 azioni illecite.

Nonostante le evidenze numeriche in queste regioni parlino chiaro, il fenomeno parrebbe conoscere un calo. Nel 2015 il giro di affari della criminalità su questi reati sarebbe di tre miliardi in meno rispetto al 2014, passando da 22 miliardi a 19. Alla base di tale flessione secondo Legambiente ci sarebbe la diminuzione degli investimenti cosiddetti “a rischio” sotto la soglia dei 7 miliardi nelle quattro regioni sopracitate e maggiormente colpite, soprattutto nell’ambito delle opere pubbliche e dello smaltimento dei rifiuti urbani, rispetto ai 13 miliardi di appena un anno prima.

Man mano che si sale al Nord, invece, le realtà regionali sembrerebbero meno responsabili per tali tipologie di reati. A partire dal Lazio, al quinto posto con 8,8% di infrazioni sul totale nazionale, pari a 2.431 casi accertati, e sempre meno in Veneto con il 3,7%, in Lombardia con il 2,8% e in Piemonte con 1,8%.

Tuttavia nel Paese un miglioramento su questi temi sembra ormai tangibile, specie in seguito all’introduzione dei delitti contro l’ambiente previsti dal Codice penale, tanto da segnare un passaggio importante: in Italia nel 2015 sono stati documentati 27.745 reati, contro i 29.745 dell’anno precedente. Per fare una media, si tratterebbe di 76 al giorno, ovvero 3 all’ora.

Parallelamente crescono anche le risposte della giustizia con 188 arresti, contro i 139 del 2014, mentre dall’altro lato si abbassano i sequestri effettuati pari a 7.055 contro gli 8.751 dell’anno prima, nonché le denunce con 24.623 casi nel 2015 contro le 29.471 del 2014.

Un fenomeno ampio e articolato che conosce evoluzioni diverse in base all’ambito del reato. Se diminuiscono gli atti illeciti nel settore del cemento e dei rifiuti con 4.926 casi, aumentano d’altro canto i reati in seno alla filiera agro-alimentare con 20.706 evidenze, e contro gli animali con 8.358 accertamenti.

Una crescita esponenziale del 49%, tuttavia, si evidenzia sul fronte incendi, vera e propria piaga degli ultimi anni, in special modo in quei territori corrosi da organizzazioni di stampo mafioso.

Una serie di voci che testimoniano la trasversalità del fenomeno e la complessità delle risposte necessarie. Impegnata in prima linea è senz’altro Legambiente, che oltre a censire gli illeciti nel Paese, ha avanzato soluzioni per far fronte all’attuale panorama degli ecoreati, prima fra tutte la necessità di creare una polizia addetta al controllo di tali misfatti, oltre poi a tutta una serie di misure volte alla demolizione di ecomostri, a soluzioni di carattere penale nei settori dei beni culturali e del patrimonio artistico e archeologico, o ancora per la tutela dei prodotti enogastronomici del Made in Italy.