Di Mariano Mascena
Nel tennis non ci sono soste e non c’è compassione. Ogni settimana è una nuova
partenza, un nuovo aereo, un nuovo avversario. In questo mondo che pretende continuità
assoluta, Jannik Sinner ha scelto la pausa, ha detto “mi fermo” — e per molti è suonato
come un tradimento.
Ma è esattamente il contrario: è una dichiarazione d’amore per il tennis, e per se stesso.
E io, senza esitazioni, sto con lui.
Perché in uno sport che divora, lui ha scelto di respirare. Perché in un ambiente che
spinge sempre sull’acceleratore, lui ha avuto la forza di alzare il piede.
Il gesto di un uomo, non di un robot
Chi lo accusa di aver deluso, non capisce cosa significhi vivere in un circuito che ti chiede
perfezione ogni singolo giorno.
Sinner non è una macchina.
È un ragazzo di ventiquattro anni che ha già regalato al Paese due Coppe Davis e un
nuovo orgoglio tennistico.
Si è caricato sulle spalle una nazione intera, ha risposto con maturità, e adesso pretende il
diritto di fermarsi per tornare al meglio.
È un gesto semplice, ma nel tennis moderno ha il peso di una rivoluzione silenziosa.
I paragoni che non servono
Ogni volta che un talento emerge, tornano i soliti nomi: Pietrangeli, Panatta, i padri nobili
del tennis italiano.
Ma confrontare Sinner con loro è come confrontare un pilota di Formula 1 degli anni ’70
con Verstappen oggi: due mondi diversi.
Allora bastava il genio, oggi serve un sistema. Allora contava la classe, oggi conta anche
la gestione scientifica di ogni dettaglio.
Sinner non sminuisce i grandi del passato: li onora, portando il testimone in un’epoca
molto più complessa, molto più globale.
Non c’è bisogno di metterli uno contro l’altro.
Il tennis italiano non deve scegliere tra passato e futuro: deve capire che grazie a Sinner, il
futuro è già arrivato.
Il leader silenzioso
C’è una cosa che distingue Jannik da tutti gli altri: la sua normalità.
Non urla, non provoca, non esagera. Parla poco, lavora tanto, e quando vince non ha
bisogno di teatralità.
È la sua calma che fa paura agli avversari e che conquista chi ama lo sport vero.
E proprio questa calma gli ha permesso di trascinare l’Italia in due trionfi di Coppa Davis,
simbolo di una rinascita che non ha nulla di casuale.
Ora che decide di fermarsi, molti si chiedono: “E l’Italia senza Sinner?”
Domanda legittima, ma forse anche utile.
Perché solo così capiremo se siamo una squadra forte davvero, o se viviamo all’ombra del
nostro fuoriclasse.
Gli italiani e la sindrome del fuoriclasse
C’è un tratto tutto nostro, tipicamente italiano: l’incapacità di convivere con un fenomeno.
Quando arriva qualcuno che brilla più degli altri, invece di esserne orgogliosi, iniziamo a
pesarne la luce.
Ci sentiamo messi da parte, oscurati, “minori”.
Ma non è colpa sua se è più forte.
Sinner non toglie spazio a nessuno: lo crea.
Ha reso il tennis di nuovo popolare, ha ispirato ragazzi, portato sponsor, acceso un
movimento.
È diventato, suo malgrado, un simbolo nazionale — e questo comporta responsabilità, ma
anche libertà di scegliere per sé.
L’assurda storia del Codacons
E come se non bastasse, ecco spuntare l’assurdo.
Il Codacons, l’associazione dei consumatori, è arrivato addirittura a ipotizzare un’azione “a
tutela del pubblico” per l’assenza di Sinner da un torneo.
Un’iniziativa che ha fatto sorridere mezzo mondo del tennis, perché davvero — in quale
altro Paese un giocatore dovrebbe chiedere il permesso di riposarsi?
La reazione è stata unanime: incredulità e ironia.
Perché se un atleta, dopo mesi di gare e viaggi, deve difendersi persino da
un’associazione dei consumatori, allora qualcosa, nel nostro modo di vivere lo sport, si è
ribaltato.
Il tennis non è uno spettacolo a orario fisso.
È competizione, fatica, sacrificio.
E Sinner non è un “prodotto” da garantire al pubblico, ma una persona che ha diritto a
gestirsi.
Alla fine, l’episodio è diventato una caricatura di sé stesso: un simbolo della pressione
surreale che circonda un ragazzo che, invece di chiedere applausi, ha semplicemente
chiesto un po’ di tempo per respirare.
Fonte Foto “Il Messaggero”