NESSUNO VUOLE ESSERE ROBIN: Il valore dei ruoli invisibili tra filosofia, società e musica italiana
Cartesio ha fondato il suo credo sul motto: Cogito Ergo Sum. Fosse vissuto nella nostra epoca
avrebbe sicuramente cambiato il suo credo in: Cogito Ergo Appaio.
Lasciatemi la licenza di declinare la lingua latina in maniera impropria, il caso lo richiede anche
perché, come dice il titolo, in questa epoca di eroi, nessun vuole essere Robin.
L’epoca nella quale viene data enfasi a qualsiasi azione, purchè sia, almeno per il tempo di un click,
considerata eccezionale.
E chi, magari, esprime se stesso senza clamori e senza spettacolarizzazione, viene considerato meno
perché l’importante è essere celebrati e sempre al centro dell’attenzione. Quest’ultimo è diventato la
vera droga contemporanea, una panacea di tutti i mali, eccellere in qualcosa, fosse anche e solo
trovare i pokemon nascosti al supermercato.
Cesare Cremonini, con “Nessuno vuole essere Robin”, ha intercettato uno dei punti nevralgici della
cultura contemporanea: la paura dell’invisibilità.
Robin, figura simbolicamente associata al collaboratore, all’alleato, alla spalla operativa, diventa
metafora di tutto ciò che la società odierna non vuole più essere: utile senza essere celebrato,
fondamentale senza essere centrale, cooperativo senza essere protagonista.
È un disagio che si può descrivere attraverso psicologia, sociologia, filosofia, storia e perfino come
fuoco di quell’invidia che oggi è tutto, tranne che sana.
Mettere insieme questi mondi consente di restituire un quadro completo del nostro tempo.
1. La crisi identitaria del nostro tempo: perché nessuno vuole più essere Robin
La figura di Robin viene vissuta come un difetto, un ruolo di serie B, una mancata affermazione.
Robin è considerato uno sfigato, che pur di vivere sta all’ombra di Batman. Lotta con lui ma non è
mai protagonista.
Eppure, nella realtà concreta, quella che sfugge ai social ed alle credenze popolane che dominano la
nostra civiltà, le società funzionano grazie ai Robin che tengono insieme i processi.
Eppure, dal punto di vista psicologico, l’individuo contemporaneo è schiacciato da tre pressioni:
1. Ricerca costante di riconoscimento pubblico: ciò che non si vede non conta.
2. Fragilità narcisistica: essere “secondi” è vissuto come fallimento.
3. Timore dell’irrilevanza: il valore personale appare legato alla centralità, non al contributo.
Questa è la splendida teorizzazione che riesce a sintetizzare Cremonini: viviamo in un mondo in cui
tutti aspirano ad essere eroi, e nessuno vuole più essere umano.
2. Lettura sociologica: Bauman, Lasch e Fromm
La società attuale, descritta da Bauman come “liquida”, si regge su instabilità, velocità e mutamento
continuo.
In questo contesto, stare nell’ombra significa rischiare di scomparire: ecco perché nessuno vuole
essere Robin.
Lasch parlava di “cultura del narcisismo”: la vita è percepita come un palcoscenico. E nel
palcoscenico della vita di comunità, ormai, essere Robin significa non avere abbastanza applausi.
Fromm spiegava che l’uomo moderno non sa più “essere”, ma solo “avere”: avere visibilità, avere
potere, avere prestigio, avere sempre i riflettori puntati addosso. Tutto ciò a che prezzo?
Il risultato è evidente, il prezzo è un modello culturale che svaluta sistematicamente i ruoli
cooperativi.
Nell’epoca in cui si predica eguaglianza tra uomini, la lotta è non essere Robin.
3. Filosofia antica: Platone e la dignità dei ruoli
Platone, nella Repubblica, sostiene che la giustizia coincide con l’armonia dei ruoli: ciascuno
contribuisce secondo la propria natura.
Nessuno è superiore se assolve bene il proprio compito.
La modernità, invece, non ha eliminato la differenza dei ruoli, così come era auspicabile secondo il
pensiero Platonico. Ha eliminato la dignità dei ruoli non centrali. Se non sei ricco, non sei leader,
non comandi e non sei sotto i riflettori, beh, non sei nessuno!
Ma il problema non è Robin.
Il problema è una società che non è più capace di riconoscere il valore del guardiano, del
collaboratore, del mediatore, del mediano.
Il mito della caverna aggiunge un elemento decisivo, soprattutto nell’epoca dell’apparenza, dove
viene scambiata l’immagine luminosa del protagonista per la vera realtà. Non entriamo nemmeno
dentro la caverna, guardiamo da fuori e vediamo le ombre riflesse considerandole reali. Senza
nessuna curiosità di andare a vedere cosa c’è dentro questa caverna.
Robin è il reale, Batman è solo l’ombra proiettata sulla parete.
E tuttavia tutti inseguono la proiezione.
4. Filosofia esistenziale: Kierkegaard e la disperazione di non voler essere se stessi
Kierkegaard descrive la disperazione come il rifiuto di accettare sé stessi.
La canzone di Cremonini incarna perfettamente questa dinamica. Essere Robin sarebbe un ruolo
autentico, dignitoso, solido.
Tuttavia la pressione sociale spinge l’individuo a non voler essere ciò che è, a rincorrere un modello
esterno.
È la disperazione dell’epoca contemporanea che si concreta obbligando, quasi, gli uomini a non
vivere la vita reale, ma la vita ideale che si pensa di dover avere.
Robin diventa così il simbolo della nostra incapacità di accettare la misura che ci appartiene.
5. Filosofia politica: Arendt e la crisi del lavoro invisibile
Hannah Arendt distingue tre forme dell’agire umano:
lavoro: ciò che sostiene la vita;
opera: ciò che costruisce mondo;
azione: ciò che appare nello spazio pubblico.
La nostra epoca celebra solo l’azione visibile.
Robin e il mediano di Ligabue appartengono a lavoro e opera: funzioni meno appariscenti, ma
essenziali.
Arendt direbbe che viviamo in una società con troppa “azione” e poca “opera”: troppi protagonismi,
poche basi solide.
Una società che rifiuta Robin è una società che rifiuta la manutenzione della propria struttura.
6. Nietzsche: il valore del “secondo forte”
Nietzsche ci aiuta a distinguere due declinazioni diverse di Robin. Quello “risentito”, perché
vorrebbe essere Batman e soffre. L’altro, più forte, è colui che non ha bisogno di una scena per
definire il proprio valore. Lui è, ed è a prescindere da ruoli ed apparenze.
E, in un certo senso, il Batman ossessionato dall’immagine è più debole del Robin consapevole.
7. I grandi Robin della storia: il mondo lo cambiano i non protagonisti
Le biografie lo dimostrano:
Sancho Panza: la saggezza che equilibra la follia visionaria.
Tesla rispetto a Edison: il genio oscurato dal comunicatore.
Enrico Fermi: la mente decisiva nell’ombra.
Tenzing Norgay: il compagno che porta alla vetta chi si prende la gloria.
I grandi strateghi silenziosi della scienza, della politica, delle imprese: sempre invisibili,
sempre decisivi.
La storia celebra quasi sempre Batman. Ma è Robin che fa funzionare il mondo!
8. Il ponte finale: da Cremonini a Ligabue (“Una vita da mediano”)
Le due canzoni, se unite, diventano un discorso sociologico e antropologico completo.
Cremonini mostra la ferita, la paura di non essere protagonisti; la vergogna dei ruoli meramente
cooperativi.
Il rifiuto di essere Robin.
Ligabue mostra la cura, la dignità immensa di chi regge il gioco senza farsi vedere ridando valore
alla fatica silenziosa.
La grandezza dei mediani, che fanno vincere le squadre senza segnare.
Questo è il paradigma dell’essere umano che funziona davvero in qualsiasi civiltà che si reputa
moderna, attenta e che prova ad essere “uguale” per tutti. Altrimenti diventano solo belle parole e
giornate dedicate solo per fare l’ennesima passerella dei Batman.
9. La conclusione: una società matura deve reimparare ad amare Robin
Abbiamo costruito un mondo in cui nessuno vuole essere Robin perché abbiamo smesso di
attribuire valore ai ruoli invisibili. Perché una società di Batman consuma più di una società di
Robin. Ed al Grande Fratello che ci governa conviene cosi, più consumi e meglio sei perché puoi
apparire. Non importa come, l’essenziale è farlo.
La filosofia invece ci insegna che:
Platone dà dignità ai ruoli;
Kierkegaard dà dignità all’autenticità;
Arendt dà dignità al lavoro e all’opera;
Nietzsche dà dignità alla forza senza maschere;
la storia dà dignità ai contributi silenziosi.
Cremonini fa emergere la fragilità, Ligabue il coraggio.
La filosofia dona profondità.
La società dovrebbe recuperare la saggezza della filosofia ed avere il coraggio di essere se stessi,
non importa se Robin o meno, ma se stessi.
E allora la sintesi è questa: il mondo non ha bisogno di più Batman. Ha bisogno che qualcuno torni
ad essere fiero di essere Robin.
Orgoglioso e fiero di vivere: una vita da mediano.
Fonte foto dal web
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