Autobus, treni, sciarpe e tamburi: per generazioni di tifosi italiani la trasferta è stata sinonimo di
appartenenza, un rito collettivo che lega la squadra alla sua gente anche lontano da casa.
Oggi, dopo anni di divieti e limitazioni, le curve e i semplici tifosi chiedono a gran voce il ritorno
alle trasferte libere.
Ma la realtà, nel nostro Paese, resta ben diversa: il più delle volte l’accesso ai settori ospiti è
condizionato da restrizioni, vincoli di residenza o decisioni prese a pochi giorni dalla partita.
L’Italia e il sistema delle restrizioni preventive
Il quadro normativo italiano ruota attorno a due pilastri: il DASPO (art. 6 legge 401/1989), che
colpisce i singoli con divieti di accesso e obblighi di firma, e le determinazioni dell’Osservatorio
Nazionale sulle Manifestazioni Sportive, che insieme alle Questure decidono di volta in volta se
aprire, limitare o chiudere i settori ospiti.
Dopo l’introduzione della tessera del tifoso e la sua evoluzione nella “fidelity card”, il principio è
rimasto lo stesso: la trasferta non è garantita, ma subordinata a valutazioni discrezionali di ordine
pubblico.
Così accade che intere tifoserie vengano escluse da una gara, indipendentemente dai comportamenti
individuali. Una logica che trasforma la trasferta in una concessione eccezionale e non in un diritto
da tutelare.
Il nodo costituzionale: libertà di circolazione
C’è però un aspetto che va oltre il calcio. L’articolo 16 della Costituzione italiana sancisce il diritto
di tutti i cittadini a muoversi e soggiornare liberamente sul territorio nazionale. Limitazioni possono
esserci solo per motivi di sanità o sicurezza, e devono essere stabilite per legge generale.
Bloccare la vendita dei biglietti in trasferta a chi è residente in una determinata provincia significa
di fatto comprimere quel diritto.
È vero che la sicurezza rientra tra le eccezioni legittime, ma la misura dovrebbe essere
proporzionata e mirata, non applicata in modo indifferenziato a migliaia di persone.
In altri Paesi si punisce il singolo violento; in Italia, troppo spesso, si impedisce a intere comunità di
tifosi di muoversi.
Il modello inglese: libertà garantita, sanzioni severe
In Inghilterra la trasferta è parte integrante della cultura calcistica.
Ogni club di Premier League deve destinare agli ospiti almeno 3.000 biglietti, o il 10% della
capienza negli stadi più piccoli. Le restrizioni possono esserci, ma sono l’eccezione, non la regola.
Il sistema si fonda sulle Football Banning Orders: provvedimenti che colpiscono direttamente i
responsabili di violenze o disordini, impedendo loro di accedere agli stadi o di viaggiare nei giorni
delle partite. È un modello che non criminalizza l’intera tifoseria, ma isola i soggetti pericolosi.
Il modello tedesco: l’ospite è garantito per statuto

In Germania il principio è scolpito nelle regole della Bundesliga: la società ospite ha diritto ad
almeno il 10% dei posti disponibili nello stadio avversario. Solo in casi eccezionali, ad esempio per
restrizioni legali o sanitarie, la quota può scendere al 5%.
Si tratta di una tutela normativa che fa della trasferta una componente strutturale dell’evento
sportivo. La gestione della sicurezza avviene attraverso stewarding, organizzazione logistica e
collaborazione tra club e tifoserie, non attraverso divieti generalizzati.
Il modello spagnolo: tetto prezzi e partite “ad alto rischio”
In Spagna non esistono divieti sistematici. La Comisión Estatal Antiviolencia può dichiarare una
gara “ad alto rischio” e imporre misure rafforzate, ma il settore ospiti non viene chiuso per
principio.
Dal 2023-24 LaLiga ha inoltre introdotto l’iniziativa “Grada Visitante”: ogni club che aderisce deve
garantire agli ospiti almeno 300 biglietti al prezzo massimo di 30 euro. Un segnale concreto di
tutela del tifo itinerante, che ha favorito la presenza di migliaia di sostenitori in trasferta.
Un calcio a due velocità
Il confronto è netto:
In Italia la trasferta è spesso ostacolata da decisioni preventive, prese anche all’ultimo momento,
che trasformano la libertà di circolazione in un privilegio condizionato.
In Inghilterra, Germania e Spagna la regola è opposta: l’ospite ha diritto a esserci, e chi sbaglia paga
individualmente.
Trasferte libere?
La richiesta dei tifosi italiani non è una provocazione, ma un richiamo a un principio basilare: il
calcio vive anche di viaggio, di movimento, di confronto tra comunità. Limitare la trasferta significa
svuotare gli stadi, privare le città di indotto economico e alimentare un clima di sospetto
generalizzato.
La Costituzione garantisce la libera circolazione, che può essere compressa solo per ragioni
superiori e con misure proporzionate.
Oggi l’Italia sembra ancora imprigionata nella logica dell’emergenza, mentre l’Europa dimostra che
governare il fenomeno è possibile senza rinunciare al cuore del tifo.
Perché un calcio senza trasferte non è solo un calcio più povero, è un calcio che rinuncia a una parte
della sua anima.

Mariano Mascena