Di Tino La Vecchia

Se io avessi la somma di un milione di euro disponibile comprerei subito il Catania, senza pensarci nemmeno un istante. Non solo lo comprerei ma nello spazio di un paio di anni lo porterei dove merita. Presunzione? Può darsi che lo sia, ma credo che più che presunzione sia convinzione. Qualcuno starà dicendo subito: «Ma lo sai quanto costa in un anno una squadra in serie C?» Risposta: certo che lo so, lo so alla perfezione: dai due ai tre milioni e mezzo di euro per stagione, dipende dal livello della squadra. Io mi chiedo ma perché soltanto poche squadre sono in grado di imitare il modello Atalanta? La società bergamasca adotta la stessa politica dagli anni Cinquanta dello scorso secolo: grande attenzione al settore giovanile, valorizzazione dei calciatori del vivaio e di quelli in rosa e cessione. Un’organizzazione perfetta. Per prima cosa alcuni osservatori di fiducia in grado di individuare i talenti che vengono selezionati e inseriti nelle formazioni giovanili.

La politica della Dea è stata sempre la stessa. Nel 1951-52, con la squadra con l’acqua alla gola, l’Atalanta ingaggiò lo svedese Hasse Jeppson che con 22 reti in 27 partite fece risalire la formazione bergamasca fino a centro classifica. L’anno dopo lo rivendette per una cifra stratosferica al Napoli di Achille Lauro. Nel campionato 1961-62 l’Atalanta arrivò al sesto posto lanciando nella massima serie diversi prodotti del vivaio, fra questi l’immenso Angelo Domenghini. Anni dopo toccò a Roberto Donadoni, poi a Bonaventura, per finire ai vari Mancini, Conti e Caldara. Anche il presidente dell’Atalanta Percassi ha fatto parte del vivaio dell’Atalanta e ha giocato in serie A. La stessa politica viene adottata con successo anche dall’Udinese.

In una piazza come Catania, che può contare di una tifoseria di alto livello, sarebbe ancora più facile. In poche parole la ricetta per arrivare al successo si potrebbe sintetizzare in pochi punti: 1) curare in maniera scrupolosa i settori giovanili, imponendo delle ferree regole ed estromettendo subito i ragazzi che non le rispettano o pensano di essere Del Piero o Totti. La stessa disciplina deve essere imposta ai calciatori della prima squadra. 2) ridurre l’organico della prima squadra a 22 elementi, due per ruolo, con almeno cinque calciatori duttili in grado di svolgere in campo più ruoli. Inserire fra i 22 della prima squadra 8 calciatori della Primavera, facendoli ruotare, in base alle esigenze. Potrebbe anche capitare che fra infortuni e squalifiche possano esserci assenti anche 7-8 calciatori della rosa della prima squadra. Che problema c’è se ti trovi pronti i ragazzi della Primavera? Che senso ha mettere a libro paga calciatori di 34-35 anni a fine carriera e poi trascurare i prodotti locali?

3) Mantenere sempre bassa l’età media della squadra, in ogni categoria. Insomma, in una rosa di 22 elementi non è opportuno avere più di 4-5 ultratrentenni.

4) Mettere dei tetti massimi per gli ingaggi oltre ai quali non si può derogare.

5)Stringere rapporti di collaborazione con i dirigenti di altre società per far in modo di ottenere in prestito qualche giovane della Primavera di grandi prospettive che non ha spazio per esordire in serie A o in serie B, ottenendo dei premi di valorizzazione.

6)Anche se di Zeman nella storia del calcio italiano ne esiste solo uno, affidare la prima squadra a un allenatore in grado di valorizzare i giovani. Con tutto il rispetto, che senso ha scegliere un allenatore come Novellino?

Dopo aver visto Luca Moro in Catania-Bari mi sono sbilanciato dicendo che subito sarebbe arrivato in serie A i fatti mi hanno dato ragione. Moro, però, è di proprietà del Padova. Pensate che la società veneta ricaverà meno di 4 milioni di euro per la cessione del ragazzo al Sassuolo? La sola cessione di un calciatore come Moro permetterebbe di poter pianificare una stagione di alto livello.

Ma se la serie C può costituire un vuoto a perdere e bisogna avere programmazione, idee molto chiare e competenze specifiche per non riportare dei pesanti passivi, doti che nel recente passato appartenevano allo staff tecnico ma erano del tutto sconosciute a livello dirigenziale, conquistata la serie B, grazie agli introiti provenienti dalla Lega, dagli sponsor e dai diritti televisivi, diventerebbe tutto facile.

Ecco perché se avessi un milione di euro disponibili, da catanese e da tifoso del Catania, comprerei subito la società.

Io ho solo le idee chiare e non sono il solo ad averle, ma non ho questa somma. In tanti la possiedono, magari non tiferanno per il Catania che, secondo il mio parere, se fosse stato ceduto a Tacopina in un paio di anni avrebbe riconquistato la serie A.

Ma chi ha questa somma a disposizione deve capire che il Catania, sgravato dai debiti, potrebbe costituire davvero un affare. Un milione, basta solo un milione e il Catania negli anni potrebbe diventare come l’Atalanta.

Io alla realizzazione del progetto ci lavorerei anche gratis.

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