Lei non è persona gradita.

Con queste parole, secondo la sua ricostruzione, sarebbe stato respinto Alberto Zangrillo, ex presidente del Genoa CFC e attuale consigliere d’amministrazione della società ligure, al momento della richiesta di sottoscrivere due abbonamenti per la prossima stagione.

L’insolita condotta della società ha scatenato un vivace dibattito tra i tifosi, per i quali l’acquisto del biglietto viene considerato un diritto.

D’altro canto, anche giuridicamente, la domanda ha un certo interesse.

Una società sportiva può legittimamente negare l’abbonamento a qualcuno?

La risposta, secca e giuridica, è: sì, può farlo. Ma non sempre.

Il caso Zangrillo: quando la società “non gradisce”

Alberto Zangrillo, figura nota nel panorama rossoblù e medico personale di Silvio Berlusconi, è stato presidente del Genoa fino al passaggio di proprietà al fondo statunitense 777 Partners.

A seguito della cessione societaria, egli è formalmente nel consiglio d’amministrazione anche se privato di qualsiasi potere.

Il rifiuto dell’abbonamento non è stato accompagnato da una motivazione ufficiale scritta. Zangrillo ha affermato di aver ricevuto una comunicazione verbale che suonava più come un’esclusione personale che una semplice limitazione tecnica. Ha annunciato un esposto alla Procura, parlando di “umiliazione” e negazione ingiustificata di un diritto da tifoso.

Ma… si tratta davvero di un diritto?

Biglietto e abbonamento: diritto soggettivo o contratto privato?

Nel diritto italiano, l’abbonamento allo stadio non è un diritto soggettivo, ma un contratto privato.

In altri termini, non vi è un diritto del tifoso ad accedere all’impianto sportivo poiché esso non può essere assimilato all’accesso a un servizio pubblico essenziale. Esso è una proposta contrattuale sottoposta a libera accettazione da parte della società sportiva.

Il club, infatti, è titolare del diritto di gestire l’accesso allo stadio, luogo aperto al pubblico, sì, ma sotto controllo privato.

Chi compra un abbonamento o un biglietto stipula un contratto con la società, accettandone regole, limiti e clausole.

Secondo l’art. 1321 del Codice civile, nessuno può essere obbligato a concludere un contratto. Di conseguenza, il club può rifiutare la vendita, purché non lo faccia in modo discriminatorio o contrario alla buona fede.

Il “gradimento” e il potere regolamentare delle società

La maggior parte delle società di Serie A, Genoa compreso, ha adottato un Regolamento di utilizzo degli abbonamenti che prevede espressamente la facoltà di negare o revocare abbonamenti e biglietti in caso di:

•      comportamenti violenti o antisportivi;

•      violazioni del regolamento d’uso dello stadio;

•      attività illecite (bagarinaggio, DASPO, ecc.);

•      azioni o dichiarazioni contrarie agli interessi della società.

Quest’ultimo punto è particolarmente ampio: in esso rientrano anche critiche pubbliche, contenziosi societari o conflitti interni, come quelli che sembrano coinvolgere oggi Zangrillo.

In termini pratici, le società fanno spesso ricorso a un concetto non giuridico ma operativo: “il gradimento”.

Il club può ritenere che un soggetto non sia gradito all’interno dello stadio e agire di conseguenza.

La legittimità di questo potere si regge su due condizioni:

1.    deve essere previsto dal regolamento, e

2.    non deve sfociare in discriminazione o abuso.

È diverso per i biglietti singoli?

No, il discorso è analogo. Anche il biglietto singolo è un contratto tra club e acquirente. La società può filtrare, rifiutare o annullare la vendita, soprattutto in occasione di partite a rischio o soggette a limitazioni imposte da autorità di pubblica sicurezza.

Esistono poi casi (come vendite limitate a residenti o possessori di fidelity card) dove la società, di concerto con le forze dell’ordine, ha un ampio margine di selezione dell’utenza.

Anche in assenza di un DASPO, una società può limitare l’accesso a chi ha avuto comportamenti ritenuti incompatibili con i valori del club.

E se il rifiuto è illegittimo?

In linea teorica, chi si vede negato l’abbonamento può agire legalmente:

•      richiedendo per iscritto la motivazione del rifiuto;

•      diffidando la società se il comportamento appare arbitrario o contrario ai regolamenti;

•      chiedendo il risarcimento del danno se subisce un pregiudizio oggettivo.

Tuttavia, la giurisprudenza tende a riconoscere ampia discrezionalità alle società sportive, soprattutto se il rifiuto è motivato da interessi organizzativi o di sicurezza.

Conclusione

Il diritto di andare allo stadio, in Italia, non è assoluto. L’abbonamento è un contratto, non una pretesa. Il biglietto è una concessione condizionata, non un diritto indisponibile.

Le società sportive, come soggetti privati, hanno il potere di decidere chi far entrare nei propri impianti, purché lo facciano nel rispetto dei regolamenti, della non discriminazione e della buona fede.

Il caso Zangrillo non è solo una questione personale: è una spia accesa su un confine delicato tra libertà contrattuale e gestione del dissenso nel mondo dello sport.

E anche allo stadio, la legge — o almeno il regolamento — entra in campo.

Mariano Mascena

Fonte foto Calciomagazine