La leggenda in sei corde: mezzo secolo senza Jimi.

di Concetto Sciuto e Ignazio Schirone

Gli eroi si ricordano, i miti non muoiono mai.

Ok, d’accordo, la frase è stata presa a prestito ma nessuno potrà affermare che, uno dei più grandi interpreti del Rock Blues di tutti i tempi, di certo il più grande chitarrista Rock di sempre, icona immortale per tutti i chitarristi e inalienabile riferimento per ogni ragazzo che decidesse di iniziare a suonare la chitarra elettrica, non meritasse questo incipit.

E lo ricordiamo oggi, Jimi Hendrix, nel cinquantesimo anniversario della sua morte avvenuta il 18 settembre del 1970, in una camera d’albergo a Londra. La causa ufficiale della prematura scomparsa fu per soffocamento da conato di vomito nel sonno dovuto a un mix di droga e alcool dopo una festa, come riportato nel referto del medico. Ma questa motivazione, stabilita in modo a dir poco superficiale, e a una ingiustificabile velocità nelle indagini, considerando anche lo spessore mondiale della vittima, lascia, ancor oggi, adito a controverse ipotesi, non ultima quella di un probabile complotto per eliminarlo che trae forza dalla decisione, ventilata qualche settimana prima dallo stesso Hendrix, di abbandonare il suo manager per sperimentare nuovi orizzonti musicali.

Giusto per aggiungere legna sul fuoco delle maldicenze, lo stesso manager aveva da tempo stipulata un’assicurazione che prevedeva diversi milioni di dollari di risarcimento nel caso Hendrix fosse morto, milioni che comunque non poté riscuotere visto che anche lui morì poco tempo dopo.

Soddisfatte le insaziabili curiosità dei complottisti, adesso immergiamoci nell’uomo Jimi e dopo nell’artista Hendrix ricordando, soprattutto, qualche importante passaggio della sua immensa carriera, anche se breve, per finire raccontando alcune curiose peculiarità che lo resero, qualora ciò fosse possibile, ancora più celebre.

Nato a Seattle, figlio di James Allen Hendrix (di origine afro-native) e di una diciassettenne afroamericana Lucille Jater, Jimi fin da ragazzo iniziò a mostrare interesse per il blues e la chitarra. I suoi primi strumenti addirittura li costruì da sé, come nelle tradizioni più antiche dei bluesman. Dopo alcune adolescenziali esperienze in diverse band della sua città decise, nel maggio del 1961, di arruolarsi nell’esercito per evitare il carcere a causa di una condanna per furto d’auto.

Una breve parentesi prima di iniziare a impegnarsi seriamente nel lisergico mondo della musica, formando le sue prime band per poi trasferirsi prima nel Tennessee e poi a Nashville.

Dopo diversi anni da girovago, e senza essere riuscito a trovare la sua strada musicale, incontra a New York Frank Zappa il quale, leggenda vuole, gli fece scoprire il primissimo e rivoluzionario effetto per chitarra che avrebbe preso il nome di “Wha Wha”, poi da lui consacrato nei suoi brani e durante i concerti. Ma la vera svolta fu nel 1966 grazie all’incontro con il manager degli “Stones” e il bassista degli “Animals” che lo convinsero a trasferirsi a Londra con l’allettante promessa di fargli conoscere Eric Clapton.

Ed è proprio nella City che Jimi inizia a farsi notare, in tutti i locali più in voga della città e fonda, sulle orme dei “Cream”, il suo “Power Trio” più famoso: la “Jimi Hendrix Esperienze” con Mitch Mitchel alla batteria e Noel Redding al basso riscuotendo un enorme successo discografico e live. Stavolta però vengono notati davvero da Eric Clapton e anche da Jeff Beck e gli Who che gli chiederanno di aprire i loro concerti.

Nella breve ma intensa carriera di questa leggenda musicale, non possiamo non citare i memorabili concerti tenuti a Woodstock nel 1968 dove eseguì l’inno americano da solo con la sua chitarra, e il festival del 30 Agosto 1970 all’isola di Wight.

Appagato da quattro anni di successi, decise di abbandonare lo stile che lo aveva reso celebre a livello planetario con brani celebri come “Hey Joe”, “Purple Haze”, “Woodoo Child”, “Fire”, “Little wing”, nel tentativo di “ritrovarsi” attraverso nuove vie musicali e nuove forme di espressione artistica. Ma non farà in tempo, e sarà la sua compagna tedesca Monika Dannemann a ritrovare il suo corpo privo di vita in una anonima stanza d’albergo.

Di lui rimane la leggenda, le immagini dei suoi memorabili concerti, ma più di tutto la storia di un ragazzo che ha dato tanto al mondo del Rock e del Blues elettrico, in buona parte avendolo creato da sé e, soprattutto, il suo aver “rivoluzionato” l’uso della chitarra elettrica. Nel mondo non c’è chitarrista rock contemporaneo o del passato, che non si sia ispirato a lui.

Uno su tutti il grande Steve Ray Vaughan, anche lui scomparso troppo presto in seguito ad un incidente in elicottero, artista di cui ricordiamo la famosissima versione di “Little wing” che, per qualche esperto del settore, è addirittura superiore all’originale. Poi le curiosità miste a “stranezze” del genio Hendrix come, ad esempio, quel suo inventare e sperimentare di tutto: dall’uso degli effetti innovativi sulla chitarra (Fuzz e Wha wWha ) alla scelta di usare gli antesignani, per allora,   amplificatori Marshall SLP 1959 in tutte le sue performance dal vivo.

Oppure la sua mitica “Fender Stratocaster” bianca usata con… le corde montate al contrario perché, essendo   mancino, non ha mai voluto (e rimarchiamo mai) un modello per mancini!

Così preferiva lo strumento standard per poi invertire tutte le corde e indossarla sottosopra: unico anche in questo, come quando suonava con… i denti! Cosa volete che fosse per un artista che bruciava la chitarra sul palco per continuare a farle suonare mentre prendeva fuoco! Ma lui era Jimi Hendrix: prendere o lasciare. E in pochi, credeteci, hanno preferito la seconda scelta.

Catania, 18 settembre 2020

Concetto Sciuto per Sport Enjoy Project Magazine

( fonte foto corrierenazionale.it )

Questo articolo è stato pubblicato sulla pagina on-line su www.sportenjoyproject.com