Immunità sociale o…di gregge?
di Concetto Sciuto
Si chiama mitridatismo quella forma di resistenza ai veleni che si acquisisce con l’ingerirne in una fase inziale in piccole quantità, per poi proseguire con dosi sempre più crescenti nel tempo, affinché si inneschi un processo di assuefazione e minore assorbimento da parte del nostro corpo della sostanza nociva. In una azzardata trasposizione metaforica è un po’ ciò che sta succedendo, dalle idi di marzo (giorno più, giorno meno) ad oggi, con questo stillicidio di notizie e disposizioni aut-aut a cui pian piano ci siamo assuefatti, sostituendo l’iniziale ansia da attesa dell’ultimo Dpcm a un: abituiamoci perché tanto nessuno è in grado di dirci quando finirà. Va bene, sappiamo che bisogna adattarsi ai mutevoli eventi e (in)seguire l’evoluzione del contagio, tant’è, di pari passo, l’impensabile (tutti a casa) coniugato all’impossibile (tutto chiuso), dopo essersi concretizzato (in realizzabile), è diventato la norma. Come si è concretizzato un mese di, inimmaginabile, immobilità sociale, relazionale, umana ed…economica.
Ci sono voluti quasi trenta giorni per svelare pian piano, diretta dopo diretta, decreto dopo decreto, quella verità che, come il veleno dell’esempio iniziale, non poteva essere inoculata con tutta la sua virulenza nelle nostre fragili, e impreparate, capacità cognitive, tipiche di chi è abituato a pensare in termini di hic et nunc (ora e adesso) credendo di potere sempre agire attraverso un (falso) libero arbitrio di un utopico antropocentrismo. Pertanto, azzerato in poche settimane decenni di umane certezze, adesso, mutando interiormente, stiamo diventando più adulti, come se stessimo acquisendo una sorta d’immunità sociale ai profondi cambiamenti di cui siamo parte integrante, immunità che ci ha reso più imperturbabili ai divieti, alle restrizioni, agevolando un, innaturale, riadattamento alle nuove dimensioni spazio/temporali in cui stiamo navigando a vista inseguendo orizzonti e desideri. Da questa disciplinato “gregge”, bisognerebbe escludere, naturalmente, quei duecentomila “disubbidienti” che non si sono mai adattati a queste regole e giustamente multati perché in giro senza valida motivazione. Un deprecabile atteggiamento che riflette però, dicono gli esperti, quella adamantina individualità (sub)culturale ed esperienziale di questi incorreggibili che gli fa percepire il problema, in termini di rischi, in una prospettiva diversa rispetto alle direttive governative e al comune buon senso, minimizzandolo, riducendone pericolosità e potenziali venefici effetti. Tra questi, rimanendo costantemente ancorati alla metafora dell’immunità, ci sono i più deboli che rischiamo di soccombere, tutti quelli sottoposti a stress psicologici causa violenze domestiche o ambienti poco idonei alla convivenza promiscua, umili dimore da cui difficilmente vedremo mai, attraverso i media, delle edulcorate dirette in streaming.
Ma l’uomo è un “animale” che si abitua a tutto, come disse un grande magistrato, ed è stato, per adesso, la nostra immensa fortuna, quel pozzo di San Patrizio da dove abbiamo attinto risorse impensabili ma, di certo, non inesauribili. Anzi. Perché, se è vero che ancora non siamo immuni al virus, e in buona parte lo siamo diventati a questa nuova dimensione, socialmente insolita, presto ci sia abituerà anche ai numeri di decessi e agli appelli che, spiacenti dirlo, non incuteranno più nessun timore quando altre paure prenderanno il sopravvento, paure innescate dai bisogni primari non più soddisfabili, di pari passo a quelli immateriali come l’esercizio della libertà. Di questo passo non siamo più certi che questa immaginaria immunità sociale potrà reggere ancora per molto.
Ciò che invece, in questi giorni, ci accomuna tutti, ma proprio tutti, è l’inquietante attesa di ascoltare: “cessato pericolo si può ricominciare” … un annuncio che ci coglierà pronti, curvi e a testa bassa, per uno scatto verso le nostre mete abbandonate, ma sarà uno scatto, purtroppo, non da centometrista. Anzi, già ci avvisano che non sarà nemmeno uno scatto ma un lento, lentissimo, riappropriarsi di tutto ciò che pensavamo fosse, in maniera inalienabile, nostro. Al contrario, ci siamo accorti che qui, di nostro, è rimasto ben poco, ci si augura almeno quel tanto che basta che ci permetta di ricominciare, magari “quel tanto” chiamato “noi stessi” ma rigenerati da mesi di isolata attesa utile a comprendere chi, effettivamente, noi siamo.
Catania, 8 aprile 2020
Concetto Sciuto per Sport Enjoy Project Magazine
( fonte foto google immagini leggo.it )
Questo articolo è stato pubblicato sulla pagina on-line su www.sportenjoyproject.com