L’amore “infernale” e tridimensionale di Samuele Carcagnolo

di Concetto Sciuto

Bastano poche battute iniziali per comprendere che stasera non sarà una passeggiata assistere prima, e raccontarvi dopo, dell’ultimo lavoro teatrale(?) di Samuele Carcagnolo dal titolo “Non è l’inferno”, titolo da utilizzare a breve come punto di partenza perché da qualcosa bisogna pur cominciare. Così, appena pochi minuti dopo l’apertura del sipario, ci predisponiamo in modalità poesia/metafora/allegoria, attivando tutti i recettori sensoriali in maniera sinestetica, svuotando i diversi cassetti della memoria alla ricerca di vitali nozioni di letteratura/filosofia/ sociologia/ psicologia e forse, solo in questo modo, saremmo in grado di decodificare una buona rappresentazione curata nella sua sinergica collaborazione tridimensionale tra varie arti come musica, danza e teatro ma…non d’immediata comprensione. Iniziamo già con la critica feroce? No, perché in questo caso saremmo superficiali e iconoclasti nei confronti di un ragazzo che, a soli ventidue primavere, ha deciso di mutare, migliorandolo, il nostro, e quel che sarà, il loro mondo, grazie alla sua arte poetica e di certo non saremo noi a rallentarne, o ostacolarne, i suoi sogni. Pertanto, se avrete la pazienza di leggere fino in fondo, cercheremo di raccontarvi di questa sua sibillina rappresentazione… teatrale? anche. Musicale? Pure. Di danza? E perché no? descrivendovi, oltre il suo senso ultimo, cosa ci è rimasto dentro di uno spettacolo che camminerà sempre sul filo conduttore del libro di Samuele, non aggiungendo nulla e non togliendo nulla.

Il titolo dicevamo, una negazione da cui dovremmo cominciare a ritroso per risalire a cosa, effettivamente, non sia questo inferno.

La prima risposta la troviamo in quelle famose cinque lettere che compongono la parola Amore, in questo caso per una donna, che quando diventa pura passione ti fa provare un inferno dentro ma che di fatto, all’incontrario, è la via di fuga da esso divenendo, a sua volta, il vestibolo per un concetto di ribellione a una società intrisa da scellerate ingiustizie. Doveroso incipit a parte, proveremo adesso a dare contenuti a un (non) racconto, pertanto: la storia. Sono solo tre i protagonisti, tutti senza nome e che incarnano tre luoghi comuni come il Personaggio, l’Avvocato del diavolo e il Narratore (esterno), con una quarta protagonista virtuale che è l’amata del Personaggio.

Quest’ultimo ama la poesia e si accorge che s’innamora di una donna quando inizia a scrivere solo di lei in una relazione problematica, infernale, ma che sarà, invece, il contrario di ciò che sembra. Incomincia così un accidentato, catartico, percorso che, strutturalmente, si reggerà su numerosi monologhi poetici e su un dialogo tra il Personaggio e una sorta di Super-ego incarnato nell’Avvocato del diavolo, dialogo che vedrà l’atavico scontro tra conformismo e anticonformismo con lo stesso Avvocato che, a sua volta, vivrà un suo inferno, purgatorio e paradiso. Ad arricchire la scena la performance del pianista Morabito con le sue musiche a tema, e due ballerini che daranno forma, in passi di danza e movenze, ai pensieri del Personaggio, così come i cartelli appesi rappresenteranno il “museo di dubbi” che aleggiano nella sua testa. Già, perché tutto questo che vi è stato descritto, monologhi, dialoghi, musiche, danza, scenografia compresa, udite, udite, altro non è che la raffigurazione di ciò che vive nella testa del Personaggio. Una rappresentazione tridimensionale, in tutti i sensi, dell’inferno che risiede nella sua mente nutrendosi dei sui pensieri.

Poi tre passaggi filosofici, dal panta rei di Eraclito a un esistenzialismo da condividere tra Kierkegaard e Sartre, con in mezzo un azzeramento valoriale che “coattamente” ci riporta all’Oltre Uomo di nicciana memoria. Tre salti nella storia del pensiero filosofico umano per ricordare quanto, in questo inarrestabile “scorrere” che è la vita, bisognerebbe ricominciare “azzerando” gli errori di alcuni (odierni) falsi valori e questo “dipende” solo ed esclusivamente da noi. Quanti trattati di filosofia bisogna aver “armeggiato” per poter racchiudere tutto questo in soli cinque righe… Ma, di contro, quanti bisogna averne introiettati per riuscire a scrivere e recitare tutto questo? Ma non sarebbe il teatro di Samuele Carcagnolo se il suo messaggio non inglobasse un richiamo che affondi il suo pensiero nella sfera del sociale, quel suo ricordare, in maniera imperitura, a non abbassare mai la guardia contro una società egoisticamente consumistica e ingiusta, dove denaro e potere occupano i piani alti nella sua stratificazione valoriale. Così sgorga dalla sua poesia, atteso un po’ da tutti, l’eterno richiamo alla rivoluzione e alle iniquità sociali con il Personaggio che ci ricorda che… “se questo non è l’inferno come posso chiamare questo il paradiso se la gente scappa alla ricerca di un mondo migliore e poi muore su un barcone?”

Un Samuele/Personaggio che si rivolge dritto al suo pubblico esortandolo con un: “salvate lo spirito, salvate l’anima io provo a salvarmi e continuo a correre” coinvolgendoci, non contento, in maniera ancora più diretta facendo occupare il suo posto sul palcoscenico a…uno spettatore.

Un semplice, ma potente, gesto per comunicarci che la sua storia è la storia di tutti noi, la sua morale dovrebbe essere anche la nostra, non fosse altro che affonda in quei principi universali così tanto cari a Kant.

E dopo aver metabolizzato l’impatto con i contenuti, riconosciuti i non pochi meriti ai due ballerini (Federica Bella & Mario Mannino)  che hanno dato veramente tutto con passione, fatto un plauso alla voce narrante (Oriana Ciaffaglione) per la spontaneità nella lettura e per averci guidato nell’intricato dedalo dello spettacolo, dopo aver consegnato un meritato bravo al pianista Francesco Morabito con un curriculum più cospicuo dei suoi anni, anche se a volte la sua musica soverchiava la recitazione, passiamo ai due protagonisti. Andrea Laviano, sul palco l’Avvocato del diavolo, non ha mai nascosto il suo sogno: da grande vorrò fare l’attore. Ed è incontestabile che c’è tanta passione in ciò che fa e ottima stoffa, anche se per adesso prevale più la prima che la seconda ma… per sua fortuna. Non fosse altro che senza la prima, la seconda non avrebbe margini di crescita e se fosse all’incontrario il suo sogno non avrebbe il futuro che si merita e che siamo certi avrà. Su di lui accettiamo scommesse. Poi lui, il deus ex machina di questo spettacolo, un Samuele Carcagnolo che ha dato ben oltre sé stesso, come sempre, e possiamo dire che non fa nemmeno fatica nel recitare: lui è così, voce da overdose da decibel compresa.

Ha avuto il merito/coraggio di mettere su un lavoro dove c’è tutta la struttura e sovrastruttura di ciò che fluttua nella sua testa, in un lavoro corale tra musica, recitazione e danza che diventa crogiolo dei suoi pensieri che provano a diventare i nostri, in uno scambio empatico ma non estendibile a tutti: e questo Samuele è il primo ad esserne consapevole che sarà questo il prezzo da pagare. Poco importa, per chi ha degli ideali è già predisposto al rischio di proporre uno spettacolo non per tutti, ma per un pubblico di nicchia racchiudibile in due (ampie) camere con cucinino, e in ogni caso è un lavoro dove troviamo non poche difficoltà a trovargli la giusta collocazione: e questo è sicuramente più un pregio che una pecca.

Da parte nostra un solo consiglio: continua così, e anche se sarà un duro lavoro di maieutica culturale mutare registro verso il basso, per raggiungere un pubblico più ampio, sarebbe il più grande errore che Samuele potrebbe commettere e chi scrive di lui, consigliandolo di deviare rotta, dovrà assumersi le sue colpe. Invece, sarà il pubblico l’unico, insindacabile, giudice a decidere il suo destino, lo stesso pubblico a cui il regista ama suscitare tante domande e con “Non è l’inferno” così è stato: in tutti i sensi.

Catania, 24 febbraio 2020

Concetto Sciuto per Sport Enjoy Project Magazine

( fonte foto Samuele Carcagnolo  )

Questo articolo è stato pubblicato sulla pagina on-line su www.sportenjoyproject.com